L’animalità dell’uomo

È l’animale, tutto, nello sguardo

volto all’Aperto:

fuori del tempo, nello spazio immenso.

Ma gli occhi abbiamo, noi, come riversi:

e tesi, al par di reti, a imprigionare

il suo libero passo.

                   R.M. Rilke

L’animale è l’altro da sé per eccellenza, il confine della nostra umanità. La preoccupazione costante dell’uomo è stata sempre quella di stabilire la differenza tra la sua natura e quella dell’animale attraverso l’affermazione della sua presunta superiorità. Alle origini di questa hybris risiede probabilmente la preoccupazione di determinare la specificità umana in una forma propria e pura, come se essa fosse minacciata dal riconoscimento di una somiglianza inquietante, un’animalità pericolosa e oscura.

Le definizioni “bestia” e “bestialità” attribuite ad un individuo caratterizzano il medesimo in termini negativi ponendolo in un orizzonte di senso che va oltre l’umano in cui la vita dell’individuo è senza tutela e senza diritti. Jean-Luc Nancy nel suo saggio “La sofferenza animale” sottolinea come, in realtà, l’“animalità” denoti precisamente la qualità “di ciò che possiede un’anima o, più esattamente, di ciò che è animato da un’anima, cioè da un soffio, il soffio della vita”. L’animalità non è dunque prerogativa dell’animale ma è presente in noi come nell’animale. La questione animale si rivela un modo per riflettere su cosa sia l’umanità: un’umanità alle prese con la necessità di ripensarsi a partire da ciò che essa ha escluso da sé e che, proprio a causa di questa esclusione rimossa, porta l’umano a compiere atti di violenza contro quell’alterità che, in realtà, lo abita. Gli animali, dunque, ci riguardano, sono parte di noi, come noi siamo parte di loro. Riconoscere nell’animale la stessa vita che è in noi è il primo passo per sottrarre l’animale, come ogni altro essere vivente, ad ogni sua riduzione a cosa da sfruttare. Significa concedere all’uomo la possibilità di pensare sé stesso, oltre l’umanità e l’animalità. Non accettare la nostra natura animale comporta una conoscenza incompleta di noi, una mancanza di consapevolezza che ci porta a occultare gli aspetti che riteniamo indegni e a liberarcene, proiettandoli su altri che diventano oggetto del nostro disprezzo.

Scrive Hillman: “la psicologia ha un debito particolare  nei confronti degli animali, se è vero che essi sono il sistema simbolico primordiale, e se la psicologia contemporanea non ha completamente dimenticato  che anche noi siamo animali, mangiamo con le unghie, e coi denti, soffriamo la sete, ci accoppiamo e attacchiamo al seno i nostri piccoli, sporchiamo con le nostre deiezioni punti prestabiliti e andiamo soggetti a varie emozioni, al panico, alla lussuria, all’amore del nido, alla curiosità. Come possiamo capire noi stessi in quanto esseri umani se non abbiano familiarità con le loro immagini e i loro comportamenti nelle nostre anime? Cosa fanno con noi, e noi con loro, nell’intimità più profonda che ci sia, nei sogni?”

“Il cane mi domanda

e non rispondo.

Salta, corre pei campi e mi domanda

senza parlare

e i suoi occhi

sono due richieste umide, due fiamme

liquide che interrogano

e io non rispondo,

non rispondo perché’

non so, non posso dir nulla.

In campo aperto andiamo

uomo e cane…”

                          Pablo Neruda

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