Lo straniero
“L’intruso non è nessun altro se non me stesso e l’uomo stesso. Non è nessun altro se non lo stesso che non smette mai di alterarsi, insieme acuito e fiaccato, denudato e bardato, intruso nel mondo come in sé stesso, inquietante spinta dello strano, conatus di un’infinità escrescente”
Jean-Luc Nancy, L’intruso
La condizione di estraneità è strettamente correlata alla questione dell’identità del soggetto. “Je est un autre” ebbe a dire Rimbaud: l’Io è sempre altro da sé, artificio immaginario di un’esistenza irriflessa. Sarte riteneva che il soggetto non fosse riconducibile all’Io. Scrisse: “L’Ego non è proprietario della coscienza, ma ne è un oggetto”. In questa direzione l’Io è un ospite indesiderato della coscienza che altro non è che spontaneità irriflessa e impersonale.
Riprendendo questa riflessione sartriana, Lacan in netta contrapposizione con il fronte egemone postfreudiano della Psicologia dell’Io recupera il tema originario del narcisismo di Freud e arriva ad affermare che l’Io, il moi, non è nient’altro che una finzione mistificatrice, una configurazione immaginaria che non va confusa con il soggetto dell’inconscio, il je, che trascende l’Io. In quest’ottica l’analisi non è più il luogo del rafforzamento dell’Io ma l’esperienza della sua evaporazione. L’io per Lacan è il sintomo umano per eccellenza, la “malattia mentale dell’uomo”.
L’Io non è nient’altro che il prodotto stratificato di una serie di identificazioni che simulano l’identità. L’Io pertanto è sempre estraneo a sé stesso, non è mai un vero Io. Esso esiste solo per effetto e in virtù dell’Altro, il suo doppio che lo identifica ma in un processo di rispecchiamento illusorio. Senza l’Altro, l’io non esiste.
Altro da noi non è solo lo straniero, ma anche l’alienato, il folle, il dissidente. Entrare in relazione con l’altro vuol dire entrare in contatto con altre identità, cioè con qualcuno che è diverso da noi. L’altro assume un ruolo fondamentale per la comprensione di noi stessi. Solo attraverso la scoperta di nuove alterità usciamo dalla nostra solitudine e possiamo instaurare delle relazioni significative.
Come insegna Levinas: “Nel semplice incontro di un uomo con l’Altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione, nell’”epifania” del volto dell’Altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’Altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto”