Massimiliano Cau, Riflessioni sul concetto di complesso e archetipo
Vorrei partire dal mio incontro personale con l’idea di molteplicità attraverso le parole di un poeta che, nei primi anni universitari, incrociai sul cammino come un chiaro segnale del mio peregrinare intorno al rapporto tra l’uno e il molteplice. A tal proposito, ritornano ancora alla memoria le parole del mio professore di filosofia di liceo che, con sguardo severo e penetrante, mi invitò durante un’interrogazione a rispondere alla domanda:” Lei, Sig. Cau, è più orientato all’idea di unità o molteplicità?”. All’epoca restai muto e sgomento, letteralmente paralizzato. Nel silenzio, la mia difficoltà di scegliere. In fondo non sapevo e (forse non volevo) esprimere una scelta: entrambe le idee sembravano possibili e correlate. Successivamente capii che in quell’interrogativo alloggiava l’intera speculazione filosofica: un macigno rispetto al quale io mi sentivo tremendamente piccolo. Poi arrivò Pessoa che mi illuminò quando lessi: “Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una pluralità di sé stesso”, e ancora “ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona, che inizia a sognarlo, e non sono io. Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi”, e poi oltre “mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono riflessi falsi un’unica anteriore realtà che non è di nessuno ed è in tutti” (…)
di Massimiliano Cau
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